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Caro romanzo: mi sono svegliata all'alba con il canto del gallo e con un bisogno urgente, quello di continuare a dormire, ma mi sono detta che sarebbe stato invano, che così come non si può andare in cerca della scrittura, ma lasciare che sia la scrittura a trovarti, non si può nemmeno andare in cerca del sonno, e che lo stesso vale per gli innamorati. Noi che ci preoccupiamo per il sonno scarso abbiamo una stanchezza radicata, quella causata naturalmente dal dormire poco, ma anche dalla stessa preoccupazione, e così ci consumiamo, come degli urobori dell’insonnia. Mi sveglio pensando a dormire, quando in realtà dovrei smettere di pensarlo e sedermi a scriverlo, perché il sonno non perda il passo e, una volta arrivati io e lui al mondo dei vivi —dopo aver ingannato la mia impazienza orfica— finalmente mi raggiunga. Per questo ti scrivo, romanzo. [...] Sbadiglio e mi copro un po’; le braccia no, caro romanzo, le devo tenere fuori dalla coperta per poter continuare a scriverti. Un altro sbadiglio. Fuori i galli. Iniziano a sentirsi anche gli uccelli, segno che il male annunciato, la luce, è imminente, segno che il pensiero di tornare a prendere sonno si farà più intenso, segno che non dormirò più. Ho scritto poco più di una facciata e ormai non so più se sia corretto dire “poco più di” o “poco più che”. Forse la risposta ce l’hanno i galli, o i grilli, si sentono anche loro, perché non è ancora giorno, ma non è nemmeno completamente notte, bensì quella cosa così distante da quanto sia consolidato che è il divenire. Sono le 6:00 di uno dei pochi giorni che rimangono all’estate e a pensare tutto questo, scriverlo e non dormire, mi ci sarà voluta un’ora in totale, e mi commuovo, perché in quella frase verbale si plasma la magia del linguaggio, intrusione del passato nel futuro, o quella del canto dei grilli nel sorgere del giorno, e quello dei galli, nel morire della notte. | Entry #34436 — Discuss 0 — Variant: Not specified
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Caro romanzo: mi sono svegliato all'alba con il canto dei galli e un'impellenza, quella di continuare a dormire, ma mi sono detto che era subdolo, che così come non si può andare in cerca della scrittura, ma lasciare che sia la scrittura a trovarti, non si può neanche andare in cerca del sonno, e che lo stesso vale per gli amanti. Noi che ci preoccupiamo della carenza di sonno abbiamo una stanchezza radicata, quella che deriva naturalmente dal dormire poco, ma anche dalla preoccupazione stessa, e così ci consumiamo, come urobori dell'insonnia. Mi sveglio pensando al dormire quando in realtà dovrei smettere di pensarci e sedermi a scriverlo, in modo che il sonno non mi perda il passaggio e che, una volta che esso ed io siamo arrivati nel mondo dei vivi – avendo io beffato la mia impazienza orfeica – mi raggiunga finalmente. Ecco perché ti scrivo, romanzo. [...] Sbadiglio e mi copro un pochino; non le braccia, caro romanzo, mi servono fuori dalla coperta per poter continuare a scriverti. Un altro sbadiglio. Fuori, i galli. Comincio a sentire anche gli uccellini, segno che il male annunciato, la luce, è imminente, segno che la preoccupazione di riaddormentarmi diventerà più intensa, segno che non dormirò più. Ho scritto poco più di una pagina e già non so se è corretto dire "poco più di" o "poco più che". Chissà la risposta l'avranno i galli, o i grilli, che pure si sentono, perché non è ancora giorno, ma non è nemmeno del tutto notte, ma quella cosa così estranea al consolidato che è il divenire. Sono le 6:00 di uno dei pochi giorni d'estate rimasti, e pensare a tutto questo, scriverlo e non addormentarmi mi avrà preso in tutto un'ora, e mi commuovo, perché in questa frase verbale si traduce la magia del linguaggio, l'intrusione del passato nel futuro, o quella del canto dei grilli all'alba del giorno, e quello dei galli, alla morte della notte. | Entry #34574 — Discuss 0 — Variant: Not specified
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